L’ennesima impresa delle due guide alpine Simon Gietl e Andrea Oberbacher dello scorso 27 dicembre è una via di misto sul Monte Popera, nelle Dolomiti di Sesto.
450 metri di lunghezza, gradi WI5+ e M6, 6 tiri: Phoenix è una via complessa ma affascinante, e abbiamo avuto il piacere di farcela raccontare da Andrea Oberbacher, che già abbiamo conosciuto in una precedente intervista sull’apertura della via alpinistica Lifestyle.
Ciao Andrea! Toglici una curiosità: quando Simon ti ha chiamato per proporti la via, quanto ci hai pensato prima di accettare?
Ciao! Ho detto subito di sì (sorride). Ormai ci conosciamo da tempo io e Simon, e di vie ne abbiamo aperte parecchie, in tutte le stagioni. Quando mi ha chiamato e mi ha raccontato il suo progetto, ho detto di sì: lui mi conosce e se mi ha proposto di aprire questa via con lui, significava che potevo farcela (sorride).
Parlaci di questa via e dei gradi che le avete dato.
La via è caratterizzata da tratti verticali continui, complessi soprattutto nei primi 3 tiri: ecco perché le abbiamo dato grado M6. Nel secondo tiro la candela di ghiaccio era instabile, staccata dalla roccia. Un altro componente che ha segnato la difficoltà della via è stato il ghiaccio fine: infatti, per proteggerci abbiamo utilizzato soprattutto protezioni mobili su roccia e pochi chiodi da ghiaccio. Per le condizioni del ghiaccio abbiamo dato alla via il grado WI5+.
[Questa via è di misto, il che significa che presenta ghiaccio e roccia. La scala di difficoltà si chiama M, Mixed. Per affrontare le vie di misto servono ramponi e piccozze, che sono utilizzati anche su roccia (una pratica chiamata dry-tooling).
La scala di difficoltà Water Ice si basa invece su pendenza, condizioni del ghiaccio e semplicità o complessità nell’utilizzo di protezioni.]
Quante e quali protezioni avete utilizzato?
Ci sono serviti soprattutto friend, abbiamo poi lasciato l’unica protezione fissa per la salita: un chiodo su roccia nel secondo tiro, per affrontare il passaggio più difficile che prevedeva di superare la candela di ghiaccio. Abbiamo costruito le soste con chiodi e clessidre, due con la tecnica Abalakov (clessidra di ghiaccio creata artificialmente).
E la discesa?
Quando ci siamo calati con le doppie, abbiamo piantato un chiodo che abbiamo lasciato nell’ultima sosta, la seconda e la terza calata sono avvenute su Abalakov e il resto su chiodi e clessidre di roccia. Arrivati alla base della via abbiamo nuovamente attraversato la ripida cengia di circa 400 metri: lungo il traverso ci siamo protetti con friend. Poi siamo arrivati al posto in cui avevamo depositato sci e zaini, e siamo scesi con la frontale.
Abalakov: com’è proteggersi con una clessidra creata nel ghiaccio?
Se il ghiaccio è buono, la clessidra è l’ultimo dei problemi in queste vie (sorride). Nelle due soste in cui abbiamo utilizzato l’Abalakov il ghiaccio era spesso circa 20-30 centimetri, senza aria all’interno, e per questo era abbastanza sicuro per farci due clessidre collegate. Queste clessidre puoi trovarle naturali oppure le crei con viti da ghiaccio inserite dall’esterno verso l’interno con le giuste inclinazioni. È indispensabile, quando foriamo il ghiaccio, fare attenzione a non romperlo o danneggiarlo. Nella maggior parte dei casi, quando vengono create queste clessidre per calarsi, a monte hai ancora un chiodo da ghiaccio che colleghi alla sosta (oppure al posto del chiodo si può posizionare un friend). Il primo scende così protetto se mai dovesse rompersi la clessidra. Se la clessidra tiene il primo, è molto probabile che tenga anche il secondo.
In quale punto della via hai trovato più difficoltà?
La seconda sosta è soggetta a pericoli oggettivi: è in un canale stretto, lungo cui scendono i detriti di ghiaccio, roccia e neve che il primo muove e stacca salendo. È necessario fare attenzione, ma è possibile in parte ripararsi all’interno di una piccola nicchia presente alla base.
Il punto più difficile, però, è stato nel secondo tiro, dove, come ho accennato prima, abbiamo lasciato un chiodo da roccia. Lì abbiamo trovato una candela staccata dalla roccia, a cui abbiamo dovuto affidarci per salire. Abbiamo arrampicato tra il ghiaccio e la roccia, che abbiamo dovuto pulire dalla neve. Nella foto (sotto) è possibile notare il colore grigiastro del ghiaccio della candela: si vede che è asciutta e staccata dalla parete, quindi instabile e rischiosa da scalare. Le condizioni della candela possono essere dovute da un periodo lungo trascorso dalla formazione o dalla temperatura (la roccia si scalda e scioglie il ghiaccio che la tocca).
Com’era la roccia?
Il fatto che si formi una cascata di ghiaccio significa che scende acqua gran parte dell’anno, e con l’acqua spesso anche detriti, quindi la roccia (verticale) è sempre piuttosto levigata: questo significa che è molto difficile trovare tacche, maniglie e buchi che aiutano la scalata.
Spiegaci meglio le condizioni migliori per un’arrampicata sul ghiaccio e misto.
Questo tipo di vie potrebbero non formarsi, come è possibile trovarle in condizioni migliori, cioè con più ghiaccio e più spesso. Sicuramente Phoenix come tutte potrà mutare di anno in anno, a causa della quantità di acqua, della durata della temperatura sotto lo zero, ad esempio. Le eventualità sono molteplici: in un periodo caratterizzato da freddo intenso il ghiaccio tende a crescere a monte e spesso, ma utilizza la maggior parte dell’acqua che non basta per creare ghiaccio fino alla base. Se la temperatura è di poco sotto lo zero, non si gela così velocemente e rimane acqua per creare l’intera colata, che sarà più o meno sottile. Quando la cascata di ghiaccio si forma in cima, nel primo caso, potrebbe anche deviare l’acqua e costruire un’altra linea di discesa. In estate l’arrampicata su questa via è impraticabile: si intravede la colata nera segnata dal costante gocciolare dell’acqua.
In salita avete affrontato spindrift e gelo: parlaci di questi fenomeni.
Se in quota o a monte tira vento, questo soffiando trasporta neve polverosa che poi scende lungo i canali e data la pendenza la neve ti arriva addosso. Lo spindrift è come una doccia di neve, che senti arrivare dopo aver ascoltato il vento lungo la roccia. È un fenomeno molto fastidioso, che ti raffredda ed entra dappertutto: se togli i guanti, hai subito le mani bagnate (che rischi di congelare) e poi è difficile rimetterli, la visibilità è limitata perché è come una nebbia, non puoi guardare verso l’alto (altrimenti ti arriva sul viso) e sei costretto ad attendere, di solito dai 30 secondi fino a più minuti. [Qui puoi vedere il video girato da Simon]
Come ci si protegge le mani?
Fino a una certa difficoltà (quando l’esigenza tecnica non è alta), si utilizzano le manopole. Quando la tecnica è maggiore, usiamo i guanti più fini con le dita.
Quali consigli daresti per affrontare questa via?
È necessario saper gestire bene i gradi della via, con tranquillità e sicurezza. E poi bisogna considerare la difficoltà complessiva: l’avvicinamento di 3 ore con tutta l’attrezzatura, l’ambiente alpino e isolato, la durata della via e l’abilità tecnica.
Per quanto riguarda il meteo, è possibile provare la via anche con temperature più favorevoli: noi l’abbiamo scalata quel giorno perché le previsioni dei giorni successivi non erano buone (avrebbe nevicato molto). In altre condizioni, poi, con meno neve l’avvicinamento è possibile farlo con gli scarponi, evitando il cambio, ma con gli sci è più veloce scendere. Sicuramente è bene portarsi via calzini, guanti e maglietta per cambiarsi se si suda o ci si bagna durante l’avvicinamento o l’arrampicata: l’umidità non è mai un bene.
Passiamo all’equipaggiamento: quali piccozze avete portato con voi?
Simon ha utilizzato le Grivel, modello tecnico, io invece ho preferito portare un paio di piccozze meno tecniche, così avremmo potuto scambiarcele in caso di necessità nei diversi passaggi che abbiamo affrontato, dall’avvicinamento all’arrampicata. Ad esempio nella neve quelle meno tecniche hanno il vantaggio di avere un manico con una curvatura unica, agevole da piantare nella neve per avanzare. Le piccozze tecniche hanno maniglie utilissime nell’arrampicata. Gli accessori sono comunque molto soggettivi e dipende da come un alpinista è abituato a utilizzarli. Ognuno ha il suo.
Dato che sei una guida alpina, ne approfittiamo per chiederti qualche consiglio sulla sicurezza.
È molto importante saper analizzare la stabilità/tenuta del ghiaccio. Altrettanto utile è valutare l’esposizione della cascata, per capire in quali condizioni meteo è meglio arrampicare. Ad esempio, se la cascata è al sole (esposta a sud), le temperature per affrontarla devono essere piuttosto basse altrimenti si può staccare il ghiaccio con il calore del sole: è quindi meglio partire con temperature basse e/o cielo coperto. Quando le temperature sono attorno allo zero, le piccozze entrano più facilmente nel ghiaccio senza spaccarlo troppo, così si batte meno ed è tutta forza risparmiata. Quando fa più freddo, il ghiaccio è più fragile e si spacca più facilmente, creando una rosa di ghiaccio instabile attorno alla piccozza. Phoenix è rivolta a nord e il sole non arriva.
È inoltre sempre meglio portare con sé una frontale, dato le giornate corte del periodo, e l’avvicinamento e il ritorno sono lunghi. Noi, infatti, abbiamo utilizzato le frontali per arrivare all’attacco la mattina presto e per scendere con gli sci nel tardo pomeriggio.
Di solito il primo di cordata sale più leggero, lasciando lo zaino pesante con il materiale occorrente al secondo. Noi avevamo una serie di friend completa (da molto piccolo fino al 3), chiodi da roccia, che ci sono serviti soprattutto per le calate, e viti corte per il ghiaccio fine.
Andrea, com’è andata?
Mi è piaciuta la via in sé, ma anche la complessità dall’avvicinamento lungo e l’ambiente alpino selvaggio, poco frequentato. Ci siamo divertiti.
Grazie Andrea!