Rottura della puleggia: approfondiamo insieme al Dr. Olaf Panozzo di FisioRock un infortunio molto comune tra gli arrampicatori

Arrampicata sportiva e infortuni: da semplici stiramenti a lesioni più importanti, qualsiasi sportivo prima o poi si trova a fare i conti con qualche “doloretto”. A questo proposito nelle ultime settimane la nostra attenzione è stata catturata dalla pagina Instagram di FisioRock ed abbiamo voluto conoscere più a fondo il Dr. Olaf Panozzo, fisioterapista e naturalmente arrampicatore ostinato. Insieme a lui tratteremo nel corso di alcuni post la lesione alla puleggia, infortunio che in questo momento lo riguarda in prima persona!

 

 

Buongiorno Olaf! Siamo entusiasti di averti ospite nel nostro blog per qualche settimana! Abbiamo scoperto FisioRock da poco, seguendo le tue pagine Instagram e Facebook. Cosa è comparso per primo nella tua vita, l’arrampicata o la fisioterapia? E come è nata FisioRock?

 

Sono due cose nate nello stesso momento, ma non assieme. E’ stato durante un viaggio in Asia, dopo la mia prima laurea, che ho scoperto entrambe.

 


Ho sempre avuto un fortissimo desiderio di scalare qualsiasi cosa, fin da bambino: cercavo sempre massi dove arrampicarmi nei boschi di casa, alberi, ecc… ma nella mia cerchia e nella mia famiglia nessuno arrampicava e quindi non ebbi mai l’occasione di iniziare da piccolo, anche se ho sempre frequentato moltissimo la montagna, facendo molto trekking e ferrate.

 

 

Durante quel viaggio, di passaggio per la Thailandia, mi sono trovato a Rayley, meta di arrampicata famosa per i suoi strapiombi a picco sul mare e per il deep water solo, e lì ho deciso che questo viaggio con le scarpette doveva iniziare: ho assoldato una guida e ho scalato! Una delle esperienze più belle di tutto quel viaggio, che mi ha fatto capire come l’arrampicata sarebbe stata centrale nella mia vita, da quel momento in poi.

 

 

E’ stato sempre durante quel viaggio che ho iniziato a maturare l’idea di studiare fisioterapia. Si dice che si sceglie una strada per rispondere ad una propria “mancanza” ed io ho sempre avuto qualche problema alla schiena fin da piccolo. L’incontro con una persona speciale mentre mi trovavo a Varanasi, e il desiderio di prendermi cura del mio corpo mi ha fatto capire come aiutare gli altri a fare altrettanto potesse essere la mia strada.

 

 

E poi come si è sviluppato il tuo percorso?

 

Da queste rivelazioni, se così vogliamo chiamarle, la gestazione è stata molto lunga. Tornato in Italia ho iniziato a scalare regolarmente e dopo un po’ mi sono trasferito a Milano, inizialmente per lavoro, ma dopo qualche mese ho fatto il concorso ed ho avuto accesso alla facoltà di fisioterapia alla Statale. Sono stati 3 anni durissimi, tra lavoro, studio con obbligo di frequenza ed un ambiente universitario non proprio meraviglioso: iniziavo le lezioni alle 8, finivo alle 17, andavo al lavoro fino alle 20 e poi 2 volte in settimana mi facevo 45minuti di metro per arrivare alla palestra di arrampicata più vicina e allenarmi, e rientrare a casa a mezzanotte.

 

 

E’ stato dopo la laurea in realtà, quando ero già tornato in Trentino, che ho iniziato a pensare di unire le due passioni. FisioRock è nata senza averlo pianificato molto, quasi per gioco, come le cose più belle. Ho proposto una collaborazione ai ragazzi della palestra di arrampicata della mia zona, il Block3, per seguire chi in palestra si fosse infortunato.

 

 

Da lì ho iniziato a studiare, studiare, studiare: ogni articolo che riuscivo a trovare sull’argomento, ogni specialista a livello globale e ogni libro. Purtroppo al momento la scienza nella riabilitazione e nell’allenamento per l’arrampicata è ancora agli inizi; tanto è ancora da scoprire e inventare e presto ho scoperto che è un mondo piccolo, in cui ci si conosce un po’ tutti. Ho allacciato contatti con altri specialisti in Europa e negli Stati Uniti, formandomi con loro. I più importanti finora sono stati Klaus Isele (l’osteopata che seguiva Adam Ondra), Tyler Nelson di C4HP e Volker Schoffl. Poi sempre più persone, anche fuori dalla mia area, hanno iniziato a rivolgersi a me, ed è arrivato il mio studio. Tutto questo in circa 1 anno e mezzo di vita. Non avrei mai immaginato un percorso simile.

 

 

Parliamo del tuo infortunio, ovvero di rottura della puleggia: in cosa consiste e come è avvenuta nel tuo caso?

 

Le pulegge sono anelli di tessuto connettivo denso e regolare, distribuite in maniera uniforme lungo il lato palmare delle dita, e la cui funzione è mantenere i tendini flessori adesi all’osso nel momento in cui flettiamo le dita stesse. Possiamo paragonare la loro funzione a quella degli anelli su una canna da pesca: essi devono impedire che la lenza si allontani dalla canna, perdendo il braccio di leva e quindi forza.

 

 

Per le dita dall’indice al mignolo (il pollice ha un’anatomia a sé stante) abbiamo 5 pulegge anulari (da A1 ad A5) e pulegge cruciformi (da C1 a C3). Le pulegge più importanti, in quanto le sole ancorate all’osso e che quindi portano la maggior parte del carico, sono A2 e A4. Queste, solitamente, sono anche le pulegge che più facilmente si lesionano, assieme ad A3. Le lesioni possono anche interessare le cruciformi, che però sono strutture estremamente piccole, e la cui funzione al momento non ci è del tutto chiara.

 

 

Partiamo dal presupposto che non tutte le lesioni sono uguali. Solitamente vengono classificate in 4 gradi di gravità, da una lesione o stiramento parziale (grado 1) ad una lesione completa di più pulegge con interessamento anche della guaina del tendine flessore (grado 4). La buona notizia per i climbers è che fino al 3 grado si possono tranquillamente trattare in maniera conservativa, senza dover ricorrere alla chirurgia. Questo significa la stragrande maggioranza.

 

 

Quali sono i fattori che rendono molto alto il rischio di infortunarsi ad una puleggia?

 

Questo infortunio avviene quando la puleggia riceve un carico spesso improvviso (1 elemento: Velocità) ed eccentrico (2 elemento: Carico Eccentrico, ossia un’apertura delle dita sotto carico), quasi sempre in posizione arcuata (3 elemento: Arcuata, ovvero le dita sono molto chiuse e l’angolo dell’articolazione tra prima e seconda falange, detta interfalangea prossimale, è inferiore a 90°). In questa posizione la fisica vorrebbe che il tendine diventasse una linea retta tra il palmo della mia mano e la punta delle dita, e più le dita sono arcuate più alto è il carico che la puleggia deve sopportare.

 

 

Nel mio caso è stato un concatenarsi di due cose differenti: circa due settimane prima avevo iniziato a lavorare un progetto al mio limite, un tiro in falesia il cui blocco era su liste veramente piccolissime, da arcuare completamente. Nei giorni successivi i miei tessuti hanno risposto all’aumento di carico in una posizione che solitamente non alleno molto, ovvero l’arcuata, in un periodo in cui per vari motivi non ho avuto molto tempo per scalare fuori. Dolore nella zona della puleggia A3/C2, ma sopportabilissimo, inquadrato appunto come una reazione dei tessuti al carico, con elementi infiammatori. Risposta: continuo con i miei allenamenti, riduco il volume, lavoro a carico elevato ma senza elementi di velocità; questo per favorire l’adattamento dei tessuti e non perdere la loro capacità di tollerare il carico. Fino a qui tutto bene, se non che, con il senno di poi, avrei dovuto ridurre anche l’intensità (non a massimale come stavo facendo, ma lavorando ad un 70% circa – Sì anche in presenza di un infortunio un carico elevato può essere la risposta). Risultato: fastidio leggero, ma stabile, non tendeva a passare.

 

 

Poi una sera dopo lavoro, dopo il solito riscaldamento (anche qui, con il senno di poi, non sufficientemente progressivo) mi sono appeso al trave e alla seconda sospensione massimale ho sentito una fitta acuta al rilascio. Ero sicuro di aver lesionato qualche struttura nella zona della seconda falange ma in acuto era difficile capire quale, dal momento che non riuscivo a dar carico al dito. Ho concluso l’allenamento e sono andato a casa. Il giorno dopo alla valutazione era più evidente che fosse una lesione parziale della puleggia, probabilmente A3 e/o C2, e che quindi la situazione non era così grave.

 

 

Se volessimo fare un riassunto, la ricetta del malanno è stata questa:

 

Aumento di carico in una posizione/tipologia di presa non allenata di frequente;

Aumento di intensità in un momento in cui scalavo poco;

Non adeguamento corretto dell’intensità di allenamento alla presenza di segni di non tolleranza dei tessuti;

Riscaldamento non sufficientemente progressivo per un lavoro massimale.

 

 

A livello di tipologia di movimenti tipici dell’arrampicata, quali sono quelli più traumatici in questo senso?

 

Come spiegato sopra, queste lesioni spesso avvengono:

 

Con carichi alti e improvvisi – Velocità

In una contrazione che fa aprire la mano – Eccentrica

In una posizione a dita molto chiuse – Arcuata

 


Gli esempi più tipici di quando ciò accade sono due: quando perdiamo un piede e rimaniamo attaccati, e quando tiriamo una presa per andare in maniera dinamica alla successiva. E’ molto difficile che questo tipo di infortuni avvenga ad esempio al trave (tralasciando le eccezioni, come me).

 


Nel primo caso perdere il piede porta un aumento rapido della percentuale di carico sulla singola mano. Il muscolo reagisce ma non abbastanza in fretta, quindi le dita iniziano ad aprirsi, aumentando anche l’attrito tra puleggia e tendine; quando il muscolo arriva a bilanciare la forza che sta aprendo le dita il carico sulla puleggia è massimo e può determinarne la rottura.

 


Simile il meccanismo quando stiamo andando ad una presa con un dinamico. Il fatto di togliere peso alla mano opposta per andare alla presa-obiettivo fa aumentare il carico sulla mano che tiene; questo a sua volta determina un’apertura delle dita (che è piccola, impercettibile a volte) finchè la forza dei muscoli flessori la bilancia ed aumenta per favorire lo spostamento della massa verso la mano che si sta muovendo. Anche qui posso avere un punto di rottura.

 


Tanti attribuiscono la colpa all’arcuata; dicendo che fa male, non va allenata, ecc… Questo è un modo vecchio di pensare, che non è supportato dalle evidenze scientifiche. E’ l’equivalente del “non ti piegare e sollevare pesi” se hai mal di schiena. Andatelo a dire a chi fa weightlifting! Sollevare pesi con la schiena in flessione aumenta tantissimo la pressione sui dischi intervertebrali, così come arcuare aumenta moltissimo il carico sulle pulegge. Questo significa che va evitato? Assolutamente no! Soprattutto alla luce del fatto che tutti lo facciamo, proprio come sollevare pesi con la schiena flessa.

 


Il segreto per evitare di farsi male non sta nell’evitare gli elementi stressanti, ma nell’abituare il nostro corpo agli stress, gradualmente. Ogni allenamento o attività sportiva è stressante, ma è questo stress unito alla capacità del nostro corpo di adattarsi che ci permette di migliorare in quello che facciamo. Se io ora andassi a correre 25 km di fila, senza averlo mai fatto, sicuramente mi pongo in una situazione di rischio di infortunio; ma questo significa che correre fa male?

 


Lo stesso si può dire del trave: tanti lo demonizzano, dicono che non andrebbe usato da chi scala da poco, e altre cose simili. Io posso dirvi tranquillamente che il trave è lo strumento riabilitativo che uso di più, e in maniera trasversale, indipendentemente dall’età di allenamento (ovvero da quanto uno pratica un’attività). Se tutti usassero il trave con costanza, gradualità e con un plan preciso, ci sarebbero molti meno infortuni, soprattutto alle dita. Sono convinto che nonostante mi ci sia fatto male, tutto il tempo speso al trave mi ha aiutato a limitare la gravità della lesione, in quanto le mie dita sono abbastanza abituate a stimoli elevati. Al trave si lavora senza perturbazioni esterne, senza l’elemento della velocità e con un volume relativamente ridotto. La maggior parte dei miei pazienti con traumi acuti si sono fatti male scalando, non stando al trave.

 

 

Senza voler invitare assolutamente nessuno a fare autodiagnosi, molto spesso c’è un po’ di confusione tra lesioni legamentose (come la puleggia), articolari (come possono essere quelle che riguardano le capsule)o tendinee. Esiste un vademecum per riconoscerle al volo?

 

Dal mio punto di vista le lesioni alle pulegge sono infortuni abbastanza facili da riconoscere nella stragrande maggioranza dei casi. Il primo elemento è che appunto sono infortuni acuti, in cui cioè passiamo in un movimento dallo stare bene ad avere dolore o comunque avvertire che qualcosa nel dito è successa. Questo è il primo grande discrimine rispetto all’altra grande problematica che trovo nelle dita di chi arrampica, ossia la tenosinovite: si tratta di un processo di reazione della guaina del tendine e a volte anche della limitrofa puleggia al carico, che però non ha un onset improvviso, ma si sviluppa nel tempo, e può presentare dolore simile per caratteristiche e distribuzione a quello della puleggia. Inizio improvviso contro inizio invece insidioso, più graduale.

 


Molte volte si sente uno schiocco molto secco, avvertibile anche da chi si trova vicino, ma non è sempre questo il caso, ne tantomeno è un indice di maggiore o minore gravità.

 


Il dolore si manifesta soprattutto nella zona palmare del dito e,considerando che statisticamente le più colpite sono A2 e A4, soprattutto a livello della prima e/o seconda falange. Si può presentare gonfiore nella zona, nei minuti e ora successivi al trauma.

 


Solitamente il dolore o addirittura l’impossibilità di caricare il dito è presente in arcuata, e progressivamente diminuisce man mano che l’angolo dell’articolazione tra prima e seconda falange aumenta, e mi sposto progressivamente verso una presa a mano aperta. Tante volte a mano aperta il dolore è minimo o addirittura assente. Il motivo di questo è che a mano aperta il carico che il tendine esercita sulla puleggia è molto basso, e quindi sollecita meno il tessuto lesionato. Questa caratteristica distingue facilmente una lesione di puleggia da una al tendine o alla sua guaina, nella maggioranza dei casi: mentre una lesione alla puleggia dà dolore all’arcuata e non a mano aperta, nel caso di una lesione tendinea (principalmente al tendine flessore profondo) avrò dolore a mano aperta ma non in arcuata. Esistono poi casi in cui ho entrambe queste manifestazioni, quando assieme alla puleggia ho anche una lesione al tendine, ma sono rari.

 


Un altro modo per tentare di identificare la lesione è con questa manovra: con pollice e indice pinzo la falange dove ho maggior dolore. Appoggio il dito lesionato al pollice e stringo, come a voler schiacciare qualcosa tra le dita. In questa posizione sentirete il tendine spingere in fuori il pollice della mano sana che sta palpando la falange. Provate poi a testare questo spostamento sullo stesso dito ma della mano sana e valutate la differenza: se è marcata, e nel dito infortunato notate che il tendine si sposta di più in maniera evidente, è probabile che la puleggia sia lesionata.

 

 

Queste sono indicazioni di massima che ad una mano non esperta non dicono la gravità della lesione, e che spesso possono presentare molte sottigliezze.

 

 

Il mio consiglio quindi è, una volta identificato che si tratta probabilmente di una lesione di puleggia, rivolgetevi ad uno specialista che abbia una conoscenza chiara del problema, e soprattutto del vostro sport!

 

 

Prossimamente affronteremo il discorso riabilitazione e recupero dall'infortunio, nonchè alcuni luoghi comuni sulla gestione del trauma! Se intanto hai qualche dubbio, domanda o perplessità, non esitare a contattare Olaf in DM sulla sua Pagina Instagram!

 

 

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