La tracciatura moderna è allenante per l’arrampicata sulla roccia?

Uno degli argomenti più polarizzanti dell’arrampicata “di oggi” è il nuovo stile di tracciatura dei boulder “da gara”, talvolta definiti “in stile parkour”, ed altre volte più genericamente identificati come “boulder dinamici con movimenti coordinativi”.

 

 

Ultimamente abbiamo però letto molti spunti interessanti che vanno oltre ai punti di vista estremi come “lo stile parkour non c’entra nulla con l’arrampicata vera” o, al suo contrario: “i movimenti sono estetici e creano engagement” quando si tratta di “agganciare il pubblico” allo schermo durante le principali competizioni internazionali. Nei tanti articoli che abbiamo letto si parla di biomeccanica, di osservazione di come possano essere risolti movimenti estremi da arrampicatori con strutture diverse e, naturalmente, della sua correlazione con lo sport da cui è nato tutto: l’arrampicata.

 

 

 

 

L’evoluzione della tracciatura

 

Facciamo un passo indietro di circa una ventina d’anni, quando le prime palestre di arrampicata indoor iniziavano a fare la loro comparsa nei luoghi più ricchi di climber, diventando fucina di allenamenti invernali utili a non perdere il livello nella stagione “off”. Siccome l’obiettivo era la roccia, e la palestra rappresentava solo “un mezzo” per rimanere allenati, gli arrampicatori prediligevano spesso i circuiti, per mantenere alta una buona resistenza, e allenamento a secco per sviluppare la forza massimale.

 

 

Per motivi di spazio e di una certa efficacia a cui non pochi iniziavano a fare caso, alcune palestre hanno iniziato a sviluppare un’ampia parte dedicata ai boulder (che spesso coesistevano sullo stesso pannello dei circuiti in un interessante mix di prese, colori e nastri). Lo stile era praticamente univoco: tacche lontane, chiusure al limite del possibile e forza brutale delle dita.

 

 

Fino a non troppi anni fa l’arrampicata sportiva era uno sport ancora talmente di nicchia che non capitava di rado che alcune gare di Coppa Italia Boulder si aprissero direttamente con le Semifinali, soprattutto per quanto riguardava la Categoria Femminile, perché il numero delle iscritte era inferiore al numero massimo di ammesse alla Semifinale. Un rapidissimo e crescente interesse verso questa disciplina ha portato ad uno stravolgimento totale della scena, alla velocissima nascita di palestre in tutte le principali città e ad una nuova necessità: invogliare sempre più aspiranti arrampicatori ad avvicinarsi a questo mondo.

 

 

 

 

Il boulder con una nuova dimensione: divertimento puro

 

Con il numero sempre crescente dei frequentatori delle palestre di boulder è nata anche una nuova dimensione di questa attività sportiva: oltre ad essere vista come un allenamento che ha come fine ultimo l’arrampicata sulla roccia, ha iniziato ad affermarsi come attività indipendente, magari praticata solo indoor. Apprezzata in modo particolare anche da bimbi e ragazzi che hanno dato vita ad una fresca “new generation” di arrampicatori, il boulder si è in parte allineato anche con loro la voglia di svago e divertimento, oltre che di apprendimento e di sanissima attività sportiva. 

 

 

Il fattore engagement

 

Parallelamente questa rapida ascesa dell’arrampicata sportiva, hanno fatto il loro ingresso le Live delle gare internazionali che hanno riempito calendari sempre più fitti di appuntamenti in tutte le discipline: rendere accattivante lo spettacolo era uno degli obiettivi degli organizzatori, e la creatività è diventato un ingrediente fondamentale della tracciatura. Quello che però è stata vista – un po’ come tutte le novità – come una ricerca di movimenti improbabili e sempre più lontani dai gesti tipici della roccia, ha portato ad approfondire molti aspetti legati alla comprensione del movimento in arrampicata e a nuovi metodi per aumentare la difficoltà dei boulder senza rimanere vincolati dal vecchio sistema: “prese lontane e chiusure di braccio al limite”. 

 

 

Inoltre le gare ad esempio di Coppa del Mondo hanno portato alla luce una nuova sfida per i tracciatori: creare boulder che siano in grado di fare classifica, e cioè di avere dei passaggi “filtro” con il giusto gradiente di difficoltà, pensati per arrampicatori che siano – nella maggior parte dei casi – più forti dei tracciatori stessi. Il livello pazzesco di atleti come Janja Garnbret, Jakob Schubert, Adam Ondra e Oriane Bertone – per citarne alcuni – si trova ad una scala di difficoltà che facciamo quasi fatica anche solo a immaginare. Sperimentare e provare nuove possibilità con le prese che oggi coprono superfici sempre maggiori diventa quindi l’unica possibilità per creare uno spettacolo divertente e con una classifica che sia utile.

 

 

 

 

L’evoluzione dei materiali

 

Anche l’evoluzione dei materiali utilizzati per la realizzazione delle prese e dei volumi ha avuto il suo ruolo in questo recente cambiamento: le resine sempre più leggere hanno permesso di creare volumi che una volta sarebbero stati impossibili da fissare senza rischiare un’ernia lombare e che oggi permettono di creare movimenti e boulder del tutto nuovi. Infine non dimentichiamo che alcune palestre hanno iniziato ad abbracciare con sempre maggior entusiasmo tutta la famiglia di prese “a mano aperta”, quindi svasi e volumi in generale, riscontrando una minore traumaticità rispetto a prese nette come tacche e biditi.

 

 

Naturalmente questa evoluzione non ha sostituito quello che è sempre stato lo stile classico di arrampicata, con prese nette e da stringere con forza, ma gli si è affiancato arricchendone le possibilità.

 

 

 

 

Ma quindi la nuova tracciatura è allenante per la roccia?

 

Dopo tutte queste doverose considerazioni, arriviamo alla “vera domanda” che tutti si fanno in palestra, guardando dei boulder che non vedranno mai riprodotti in natura. Se considerati in un contesto più ampio, dove ci alleniamo variando i boulder e alternando placche, strapiombi, prese da strizzare e volumi, possiamo stare certi che la nuova tracciatura giochi la sua parte nel renderci degli arrampicatori completi.

 

 

Probabilmente non potremo mai toglierci la soddisfazione di vedere i nostri miglioramenti “in rincorsa” su veri boulder sulla roccia, ma ne guadagneranno comunque la nostra coordinazione, l’esplosività, la propriocezione e la forza di spinta sulle gambe. Tutto un bel pacchetto di abilità che abbiamo sottovalutato per tantissimo tempo.

 

 

 

 

Per approfondire

 

Se vuoi approfondire questo argomento, ti rimandiamo ad alcune delle fonti dalle quali abbiamo tratto ispirazione per questo articolo, anche se ce ne sono tante altre che rendono sempre animato il dibattito.

 

 

Ai poli opposti di questi due diversi punti di vista, che includono moltissime sfumature al loro interno, abbiamo trovato un articolo di Climbing.com “Parkour is not Climbing, End of the Story” e il video “World Cup climbers and setters exploring movements" di Flatholds, entrambe con punti di vista estremamente interessanti.

 

 

Tutte le foto sono della IFSC Media Gallery