Arrampicare: uno stile di vita che ti porta sempre più in alto. Intervista al Gruppo Rocciatori Casarotto - parte seconda

Siamo sempre noi, con i membri del Gruppo Rocciatori Casarotto. Ci stiamo addentrando nell’affascinante mondo dell’arrampicata tradizionale e allora, oltre ad alcune curiosità, cogliamo l’occasione per chiedere anche qualche consiglio.



Imbrago, corda, rinvii e caschetto a parte, cosa non deve mancare nello zaino quando si affrontano queste vie?

 

Lampada frontale, cordini, secchiello, moschettoni, sacco da bivacco, telo termico, chiodo e martello, fischietto, coltello, mini kit da pronto soccorso, telefonino o gps, guscio e relazione della via. I friend sono molto utili, di tutte le dimensioni, per proteggersi su distanze lunghe o addirittura per costruirsi delle soste se estremamente necessario. Per quanto riguarda i dadi, meglio portarsi quelli molto piccoli, ideali per le microfessure.



Maurizio, cosa ci dici di martello e chiodi?

 

Un tempo non ci si sognava nemmeno di azzardare una salita senza chiodi e martello. Oggi, se nella relazione non è citato, questi due strumenti vengono lasciati a casa. Al contrario, sarebbe buona norma averli sempre con sé, soprattutto quando si scala nelle Dolomiti, perché, se ci si dovesse sbagliare e andare fuori via, chiodi e martello ti consentono di tornare sui tuoi passi, superare ostacoli e, in alcuni casi, anche di salvarti la vita.



Nando, qual è secondo te l’aspetto che più differenzia l’arrampicata in falesia da quella in ambiente?

 

Dal punto di vista tecnico in montagna le possibilità che hai sulla parete di trovare la tua strada, prese e appoggi, si moltiplicano rispetto a quelle in falesia: in ambiente avviene un’esplosione di creatività, le capacità di esprimersi e di interpretare sono enormi. E questo coinvolge molto la mente: devi essere concentrato e avere parecchio autocontrollo.



Paola, cosa ti ha spinto ad approcciarti all’arrampicata?

 

Io arrivo da un’esperienza di sentieri ed escursioni, camminavo e arrivavo in spazi della montagna che non potevo attraversare, perché erano sentieri attrezzati o perché non avevo i ramponi per poter affrontare la neve. Ho deciso allora di iniziare a fare qualche ferrata e partecipare ai corsi CAI, per sviluppare le mie competenze in arrampicata, imparare le manovre e molto altro, e così ho visto che potevo raggiungere luoghi che non ho mai esplorato, prendere strade diverse, meno praticate, e magari uscire dai sentieri troppo trafficati.



gruppo rocciatori casarotto



Nando, quali sono i suggerimenti per chi vuole avvicinarsi alla montagna e all’arrampicata?

 

Innanzitutto è bene fare almeno un corso, che parte dall’escursionismo fino all’arrampicata. Per coloro che vogliono arrampicare in ambiente, il consiglio è quello di partire con camminate e ferrate, per conoscere i luoghi e i possibili pericoli che possono sopraggiungere, dal cambiamento delle condizioni meteo a un infortunio, ad esempio.
Un altro suggerimento è anche di non andare in montagna da soli, ma con persone preparate. Il nostro gruppo è formato da esperti ed è aperto a tutti coloro che abbiano una preparazione di base, che vogliono partecipare a uscite in montagna e che vogliono arricchire la loro esperienza.



Quando pensiamo al Gruppo Rocciatori Casarotto, le prime domande che ci balenano in testa sono: qual è il senso di questo gruppo e perché questo nome?

 

Siamo un gruppo di amici che arrampicano e che sono disponibili ad accompagnare chi vuole avvicinarsi alla montagna. Spesso usciamo con persone che hanno appena concluso corsi CAI e che magari non trovano dei compagni con cui arrampicare: noi siamo sempre i primi di cordata, ci prendiamo grosse responsabilità, è vero, ma è una grande soddisfazione osservare la loro crescita e come imparano pian piano a destreggiarsi e arrangiarsi.
E poi c’è un nome importante, è vero: Renato Casarotto. Chi ha fondato il gruppo lo conosceva bene. Renato è nato ad Arcugnano, in provincia di Vicenza, ed è tra i più grandi alpinisti degli anni ’70 e ’80 non solo in Italia. Oltre che per le sue spedizioni e le vie che ha aperto (sulle montagne italiane ma anche all'estero in Patagonia, in Perù e nella zona del Karakorum, sub catena montuosa situata a nord-ovest della catena dell'Himalaya), Casarotto è conosciuto per le sue solitarie, intraprese anche in inverno con temperature fino a -40°C. Ricordiamo, ad esempio, il trittico del Monte Bianco: in 10 giorni ha concatenato 3 vie con arrivo in vetta, da solo e con temperature gelide. È morto nel 1986, sul K2, sperone sud-sud-ovest, sulla strada del ritorno, dopo che a 300 metri dalla vetta preferì ritirarsi a causa del maltempo.
Era un amico e anche un alpinista che tutti noi continuiamo ad ammirare.



“Raccontare, parlare, è molto difficile. È sempre duro arrivare così vicino all'essenza della vita e poi, dopo, ritornare indietro e sentirsi imprigionati nelle strettoie del linguaggio, completamente inadeguato a tradurre in simboli i concetti e la totalità dell'esperienza vissuta. Un'esperienza lunga e sofferta che mi ha permesso di capire una verità fondamentale: alla base di tutto, di ogni azione che l'uomo compie, deve esserci sempre l’Amore.”
Renato Casarotto



Bussano alla porta: entra qualcuno. Qualcuno che in molti conoscono, soprattutto qui nelle Piccole Dolomiti.
L’articolo continua con l’intervista all’alpinista Tranquillo Balasso.



23 settembre